Questa immagine mi rimanda ad un racconto di Dino Buzzati che ho letto anni fa. Si intitola "Direttissimo" ed è una metafora della vita moderna, di corsa, sempre in affanno verso il futuro, finchè quel futuro diventa inevitabilmente passato senza mai essersi trasformato in presente, angosciante, profondo.
Laura bello scatto, la composizione mi piace tantissimo con quel pezzo di interno che si vede sulla destra a ricordarci che siamo al chiuso, al sicuro mentre il mondo esterno scorre veloce.
....."«Quel treno, prendi?»
«Quello.» La locomotiva era terribile sotto la tettoia fumigosa, sembrava un toro inferocito che scalpitasse per la smania di partire.
«Con questo treno viaggi?» mi chiedevano. Incuteva infatti paura, tanto frenetica era la tensione del vapore acqueo che filtrava dalle fessure sibilando. «Con questo» io risposi.
«E per dove?» Io dissi il nome. Non l’avevo pronunciato mai, neppure parlando con gli amici, per una specie di pudore. Il grande nome, il massimo, la destinazione favolosa. Di scriverlo qui non ho il coraggio.
Allora mi guardarono chi in un modo chi in un altro: con ira per la mia improntitudine, con scherno per la mia pazzia, con pietà per le mie illusioni. Qualcuno rise. D’un balzo fui nella vettura. Spalancai un finestrino, cercai nella folla volti amici. Non un cane.
E dài allora, o treno, non perdiamo un minuto, corri galoppa. Signor macchinista per piacere non essere avaro di carbone, dà fiato al leviatano."...
...."Il direttissimo arrancava con tutte le forze disponibili, certo non era più la travolgente galoppata di una volta. Il carbone difettoso? L’aria diversa? Il freddo? Il macchinista stanco? E la lontananza dietro di noi era una specie di abisso che a guardarlo veniva la vertigine. Alla stazione numero 4, lo sapevo, doveva esserci la mamma. Ma quando il treno si fermò le banchine erano vuote. E nevicava.
Mi sporsi a lungo dal finestrino, guardai intorno e stavo per richiudere deluso, quando riuscii a vederla: nella sala d’aspetto, rincantucciata su una panca, tutta avvolta in uno scialle, che dormiva. Misericordia, come era diventata piccola. Saltai dal treno e corsi ad abbracciarla. Stringendola, mi accorsi che non pesava quasi più: un mucchietto fragile di ossa. E la sentivo tremare per il freddo.
«Dimmi, è un pezzo che mi aspetti?»
«No, no, figlio mio» e rideva felice «non sono neanche quattro anni.» Così dicendo non guardava me, bensì fissava il pavimento intorno, quasi cercasse qualche cosa.
«Mamma, cosa cerchi?»
«Niente… Ma le tue valige? Le hai lasciate sulla banchina, fuori?»
«Sono sul treno» dissi.
«Sul treno?» e un ombra di desolazione le calò come un velo sulla fronte. «Non le hai ancora scaricate?» «Ma io…» non sapevo proprio come dirglielo.
«Vorresti dire che riparti subito? Che non ti fermi neanche un giorno?»
Tacque, sgomenta, e mi guardava.
Io sospirai. «E va bene! Lascerò che il treno se ne vada. Adesso corro a prender le valige. Ho deciso. Rimango qui con te. Dopo tutto, mi hai aspettato quattro anni.»
Di nuovo, a queste mie parole, la faccia della mamma si cambiò. Tornarono l’allegrezza ed il sorriso (il quale però non emanava più luce come prima).
«No, no, non andare a prendere i bagagli, mi sono espressa male» supplicò. «Io scherzavo, sai. Io ti capisco. Non puoi fermarti in questo povero paese. Per me non val la pena. Per me non devi perdere neanche un’ora è molto meglio che tu riparta subito. Assolutamente. è il tuo dovere… Desideravo una sola cosa: rivederti. Ti ho rivisto, adesso son contenta…»
Chiamai: «Facchino, facchino! (un facchino spuntò immediatamente) Ci sono da scaricare tre valige!».
«Macché valige» ripeté la mamma «Un’occasione come questa non tornerà mai più. Tu sei giovane, hai da fare la tua strada. Presto, sali in vettura. Va, va» e sorridendo con fatica immensa mi spingeva debolmente verso il treno. «Per carità fa presto, stanno chiudendo gli sportelli.» Non so come, con tutto il mio egoismo mi ritrovai nello scompartimento e mi sporgevo dal finestrino aperto, gesticolando per gli ultimi saluti.
Fuggendo il treno, lei ben presto divenne ancora più piccola di quello che effettivamente era, una figurina afflitta e immobile sul deserto marciapiedi, sotto la neve che cadeva. Poi divenne un punto nero senza volto, una minuscola formica nella vastità dell’universo; e subito svanì nel nulla. Addio."...