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| La fotografia come forma simbolica: Gabriele Gaspardis | |
| | Autore | Messaggio |
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angelo Admin
Numero di messaggi : 2480 Data d'iscrizione : 15.10.07
| Titolo: La fotografia come forma simbolica: Gabriele Gaspardis Sab 04 Apr 2009, 20:34 | |
| Gabriele Gaspardis ha scattato foto ancora più belle (beato lui...) ma vi propongo questa perché, oltre all'indubbio valore, centra un obiettivo che raramente vediamo raggiunto da una foto. Un elemento d'immagine, si sa, in una foto come in un quadro o in una scultura, può essere simbolico. Ma fra le altre, vorrei precisare una distinzione: un oggetto può diventare simbolo perché rinvia a qualcosa di esterno, di separato, oppure perché riesce ad "assorbirlo" in sé stesso, rappresentarlo attraverso la propria stessa forma. Nel primo caso il simbolismo, non appoggiandosi alle caratteristiche interne dell'oggetto che simbolizza, è il frutto di una convenzione linguistica. Così nella tradizione cristiana il rospo è simbolo del peccato, ma solo se conosciamo questa convenzione possiamo leggere in tale maniera l'immagine di un rospo, che di per sé, poveretto, non si capisce perché dovrebbe avere tale significazione. lo stesso vale per le parole scritte: che la parola "cinghiale" significhi proprio quegli animali lo sappiamo perché apprendiamo una lingua, prima di impararla possiamo guardare tale parola scritta su un giornale quanto vogliamo, ma non ce lo potremmo immaginare. In altri casi un oggetto "incarna" il significato cui allude, lo esprime "in proprio", attraverso le proprie caratteristiche interne, senza bisogno di convenzioni linguistiche stipulate da una comunità: è una forma simbolica. E' il caso della foto di Gabriele, in cui il traliccio di tubi diventa simbolo della condizione sociale rigida e immutabile di questi lavoratori sfruttati perché nell'immagine li imprigiona realmente, non per convenzione, ma visivamente, concretamente, nella forma con cui si presenta ai nostri occhi. Vale a dire la forma non rimanda a un significato separato, ma lo significa direttamente perché lo incarna. Al di là dei commenti tecnici che ho letto a proposito della foto sul forum dove Gabriele l'ha pubblicata (www.maxartis.it) è questa valenza simbolico-espressiva che le regala spessore, la rende densa, la fa risuonare di un'eco amara e la colora di umana pietà: quei tubi che imprigionano quegli uomini in quel momento, sono la forma simbolica della prigione in cui vivono ogni giorno. Nota: non riesco in nessun modo a caricare la foto ridimensionata, sono costretto a usare l'"indirizzo immagine" e quindi a postarla con dimensioni eccedenti i nostri parametri. Chi vuole vedere altre foto di Gabriele Gaspardis può visitare la sua galleria su Maxartis. | |
| | | brian
Numero di messaggi : 426 Data d'iscrizione : 06.06.08
| Titolo: Re: La fotografia come forma simbolica: Gabriele Gaspardis Sab 04 Apr 2009, 22:22 | |
| Mi fa molto piacere vedere qui questa foto di Gabriele. E concordo in pieno con la lettura dell'immagine fatta da Angelo. La foto è certamente nata come foto documentaristica durante un viaggio di lavoro di Gabriele in India. Magari potrà parlarvene direttamente lui appena possibile, tanto della genesi della foto quanto di tutte le sfumature e passaggi, tecnici ed emotivi, che hanno portato a questa. Credo di poter dire, e chiedo a Gabriele di correggermi se sbaglio, che questa foto è nata, insieme ad altre, come reportage/docuemtno della zona in cui per alcuni mesi si è trovato a lavorare. Ma un insieme di cose hanno fatto sì che questa immagine (o anche questa immagine) diventasse, come in maniera efficacissima ha descritto Angelo, qualcosa di altro. Simbolo, rappresentazione di un'intera condizione, di uno status che nell'immagine viene esemplificato in maniera palpabile. l'immagine è, come si dice, EFFICACE. Quei tralicci hanno molteplici strati visivo/narrativi. Sono certamente fisici, hanno un nome, sono stati costruiti in una certa località in una certa data. Questo è l'aspetto di base, quello contingente e necessario (ma non indispensabile: si ricordi l'intervento di Angelo sulla "menzogna nella fotografia nel caso di rappresentazioni generali e non "locali" e contingenti). Da questo aspetto di base ci si stacca quasi subito e si inizia a vedere come la condizione di prigionia nelle caste, nei ruoli sociali, sia completamente congruente con la visione degli uomini all'interno della prigione fisica realizzata dai tralicci. La fisicità dell'oggetto e della condizione si trasforma in qualcosa di diverso. "Evapora" e passa nel mondo delle idee, abbraccia una condizione sociale e culturale per il tramite di elementi che di per sè, da soli, nulla avrebbero da dire. Ma messi insieme nel modo opportuno sono in grado di trasformarsi in concetti. E l'immagine diventa un simbolo. Un saluto,
Brian | |
| | | scafroglia
Numero di messaggi : 1209 Età : 42 Data d'iscrizione : 16.04.08
| Titolo: Re: La fotografia come forma simbolica: Gabriele Gaspardis Sab 04 Apr 2009, 23:07 | |
| la foto è davvero interessante come concetto, ma mi riservo più per commentarla, e leggere i vostri pensieri.. | |
| | | k.k
Numero di messaggi : 1 Data d'iscrizione : 07.04.09
| Titolo: Re: La fotografia come forma simbolica: Gabriele Gaspardis Mar 07 Apr 2009, 16:28 | |
| Innanzi tutto buongiorno e ben trovati a tutti voi. Mi presento. Sono Gabriele Gaspardis, l'autore della foto in oggetto. Doverosamente, e onorato della scelta, ringrazio Angelo per aver selezionato una mia foto a sostegno di un tema che in fotografia è ricorrente e dibattuto: quello del contenuto e della relativa interpretazione dello scatto. E, in effetti, questo è proprio uno di quei casi in cui il contenuto mostrato è quasi... autoesplicativo. Ma non è questo però, il motivo del mio intervento. Vi voglio invece proporre una lettura estesa che, di fatto, non cambia l'interpretazione, ma di sicuro ne approfondisce il significato e da qualche spunto di riflessione in più. Intanto la premessa. Come ricordava Walter (o Brian, se preferite), ho lavorato in India, per l'esattezza a Bangalore, per qualche mese in tempi diversi e più o meno lunghi (da una a più settimane). Ogni tanto, tempo permettendo, uscivo con una vecchia conoscenza (Massimo Massignani n.d.r.) a fare qualche scatto, e questo presentato, come molti altri, mostra una realtà, quella dei lavoratori edili indiani. E quindi? Finisce lì? No, non credo. C'è qualcosa che dobbiamo domandarci quando guardiamo questa immagine: con quali occhi la stiamo "leggendo"? Beh, la risposta immediata è semplice: i nostri. Cioè quelli di persone occidentali abituate a dare per scontate una serie di piccole e grandi conquiste che, in altre parti del mondo, hanno un riscontro minimo o non ne hanno affatto. Quelle della religione in primis, se pensiamo a quale valore noi cristiani (o atei, ma comunque figli assuefatti della cristianità) diamo alla vita. Quelle sindacali poi, che (anche se non sempre rispettate) sono oggi a disposizione dei lavoratori e che cercano di tutelarli e limitarne i rischi operativi. Due elementi che, in India, sono molto diversi e, secondo me, dipendenti l'uno dall'altro. La religione più diffusa, quella Induista, insegna che il valore della vita è molto ridotto e che ciascuno è artefice della propria crescita tramite la reincarnazione. In ogni vita, si ha a disposizione una possibiltà per crescere e migliorarsi interiormente. Pertanto, per ogni vita persa, c'è una reincarnazione in un essere diverso con una vita migliore (se non altro spiritualmente parlando). E i sindacati? Praticamente non esistono. E non se ne sente la mancanza? Probabilmente si, ma non come possiamo pensare noi, accaniti difensori dei nostri personali interessi. Le considerazioni conclusive sono che l'India è una terra diversa, dove la modo, il ritmo, l'approccio ai problemi ed ai valori della vita sono tutti diversi. Calando l'immagine nella realtà dalla quale è stata colta, si deduce che quei tralicci sono e rimangono una prigione... il resto, è stabilire quanto realmente stretta sia la cella. Spero di avervi fornito un modo diverso per osservare la stessa immagine e, magari, qualche elemento di riflessione e di dibattito. Adesso tocca a voi. Per ora, un caro saluto. Gabriele. | |
| | | angelo Admin
Numero di messaggi : 2480 Data d'iscrizione : 15.10.07
| Titolo: Re: La fotografia come forma simbolica: Gabriele Gaspardis Mar 07 Apr 2009, 17:56 | |
| Ciao Gabriele, e benvenuto.
Il tuo spunto di riflessione è molto interessante, e va al di là del commento alla foto: nonostante ciò lo proseguo in questo stesso topic, perché comunque è la tua immagine ad aver alimentato il discorso.
Le tue considerazioni fanno capo a due diversi concetti di "prigionia" e di conseguenza a due diversi concetti di libertà, entrambi importanti. Vorrei provare ad enunciarli sul piano teorico sperando di essere chiaro, e contando sul fatto che altri membri intervengano nella discussione.
Si può essere prigionieri in due sensi: 1) Non posso fare qualcosa perché qualche ostacolo esterno me lo impedisce 2) Non posso fare qualcosa perché non so prefigurarmene neanche la possibilità, non lo concepisco nemmeno.
Per esempio: 1) Non posso esprimermi liberamente su qualsiasi tema perché una dittatura me lo impedisce, mi vieta con la forza di parlare di certe cose ed esprimere certe opinioni 2) Non posso esprimermi liberamente sui medesimi temi perché non sono consapevole che il diritto all'espressione è universale, e quindi, assuefatto dal mio "status" di minoritanza, non mi prefiguro nemmeno mentalmente la possibilità di farlo, non riesco a immaginarmi uno stato di cose dove ciò sia possibile, dove ognuno sia libero di manifestare le proprie opinioni.
Nella fattispecie: questi lavoratori sono prigionieri perché pur desiderando uscir fuori dalla propria condizione, non hanno la possibilità materiale di farllo, in quanto l'organizzazione socio-politica dell'India glie lo impedisce, oppure sono prigionieri perché avendo certe credenze religiose non sono neanche pienamente consapevoli che dovrebbero possedere certi diritti? Che lottare per essi sarebbe giusto?
La prigionia, in questo caso, è dovuta a forze materiali o alla mancanza di consapevolezza? E qual è, nel mondo, la prigionia più pericolosa fra le due enunciate? | |
| | | solitoignoto
Numero di messaggi : 57 Età : 54 Localizzazione : Perugia Data d'iscrizione : 04.10.09
| Titolo: Re: La fotografia come forma simbolica: Gabriele Gaspardis Dom 20 Dic 2009, 23:11 | |
| - angelo ha scritto:
- Ciao Gabriele, e benvenuto.
Il tuo spunto di riflessione è molto interessante, A volte è vero che non si riesce a trovare delle spiegazioni efficienti per certe immagini, io per esempio non ci riesco. Deve essere molto difficile. Ciao, Gianni | |
| | | solitoignoto
Numero di messaggi : 57 Età : 54 Localizzazione : Perugia Data d'iscrizione : 04.10.09
| Titolo: Re: La fotografia come forma simbolica: Gabriele Gaspardis Gio 14 Gen 2010, 00:08 | |
| - angelo ha scritto:
- v.
Sono d'accordo sulla bella presentazione di Angelo della fotografia di Gaspardis. In effetti i soggetti umani risultano intrappolati nella struttura architettonica in un immagine almeno in parte, riuscita. Ma a mio avviso solo in parte. In quanto essi tendono a confondersi troppo nel contesto, e l'immagine ne risulta forse un pò piatta. Mentre la realtà del soggetto imponeva una forte distinzione contrasto tra uomo e struttura. Per esempio vidi un immagine simile tempo fa in cui sempre 2 soggetti ( forse pure fonte di ispirazione per la medesima ), in cui le persone erano solo ombre, davvero sospese tra i tralicci neri, e sullo sfondo il cielo bianco latte. Con questo non voglio certo dire che l'immagine non renda lo stesso, ma che concetti forti debbano essere rappresentati cercando un estrazione massima dalla realtà. mentre qui secondo il mio umile punto di vista non c'è stata molta cura in questo senso. | |
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| Titolo: Re: La fotografia come forma simbolica: Gabriele Gaspardis | |
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