Della fotografia Alice amava il gesto più del risultato. Amava aprire il vano posteriore della macchina e srotolare il nuovo rullino di qualche centimetro, quel tanto che bastava per pinzarlo nella guida, pensare che quella pellicola vuota sarebbe presto diventata qualcosa e non sapere ancora cosa, fare i primi scatti a vuoto, mirare, mettere a fuoco, sbilanciarsi avanti e indietro con il busto, decidere di includere o escludere pezzi di realtà come le pareva, ingrandire, deformare.
Ogni volta che udiva il clic dello scatto, seguito da quel leggero fruscio, si ricordava di quando da piccola catturava le cavallette nel giardino della casa in montagna, intrappolandole tra le mani chiuse a coppa. Pensava che con le foto era lo stesso, che ora lei catturava il tempo e lo inchiodava sulla celluloide, cogliendolo a metà del suo salto verso l'istante successivo.
Paolo Giordano, "La solitudine dei numeri primi"